sabato 11 febbraio 2012

Books I read 4 - La ragazza dai capelli strani, David Foster Wallace

La ragazza dai capelli strani inizia così:
È il 1976. Il cielo è basso e pieno di nubi. Le nubi grigie sono bitorzolute, increspate e lucenti. Il cielo ha un aspetto cerebrale. Sotto il cielo c'è un campo, nel vento.
ed è un libro di racconti di 319 pagine di David Foster Wallace.

Non è facile scrivere o dire qualcosa su David Foster Wallace senza sentirsi banali. O, per lo meno, non lo è per me. E forse è per questo che quando ne parlo, di David Foster Wallace, e mi succede spesso - i miei amici appena mi sentono pronunciare il suo nome alzano con rassegnazione gli occhi al cielo e sbuffano - mi ritrovo sempre a parlare di me, di quanto mi sia piaciuto qualcosa che ha scritto, di quanto mi sia piaciuto come lo ha scritto, di quanto mi abbia fatto ridere, o fatto felice, o triste. O della tranquillità surreale e spaesante che ho sentito dopo aver letto l'ultima frase del suo monumentale capolavoro, Infinite Jest. Parlare di quello che mi è successo e mi succede quando leggo David Foster Wallace è l'unico modo che ho per parlarne ed evitare di sentirmi volgarmente banale. È l'unico modo onesto che ho di parlarne.

Quindi salterò tutta la parte di recensione in cui si dovrebbe forse dire che questo scrittore è un genio e parlare dell'immane contributo che ha dato alla letteratura bla bla bla e vi dirò che per me David Foster Wallace è lo scrittore che ha scritto quello che probabilmente considero il romanzo più travolgente che abbia mai letto in vita mia, che è Infinite Jest. Vi dirò che sono venuto a conoscenza dei libri di Wallace pochi anni fa, quando lui già non c'era più, e il suo non esserci più mi è sembrata (con mio stupore) una cosa assurda e molto triste. E vi dirò, perché è questo di cui devo parlare qui, che i racconti che compongono la raccolta La ragazza dal capelli strani sono dei racconti che non so descrivere in altro modo se non dicendo che mentre li leggevo mi sentivo a casa. Perché il modo in cui sono scritti, nella sua estrema e non convenzionale bellezza, è di una incredibile e fluida e assurda naturalezza. Sono racconti poetici, nevrotici e spericolati. Leggeteli.

Il primo racconto della raccolta si intitola Piccoli animali senza espressione e parla di Julie Smith, ragazza ventenne che stravince più di settecento puntate consecutive di un quiz a premi televisivo massacrando con furia tutti gli avversari, ma si accartoccia e ripiega su se stessa non appena le luci dello studio televisivo si abbassano e lo show finisce.

Poi c'è il racconto che dà il titolo al libro, dove un giovane e ricchissimo repubblicano si accompagna a un gruppo di sbandati punk-rockers, e racconta in prima persona, facendo dubitare il lettore della sua completa sanità mentale, le avventure di questa sconclusionata e incongrua gang che si reca a un concerto di Keith Jarret:
Keith Jarret è un negro che suona il pianoforte. A me piace moltissimo vedere i negri esibirsi in tutti i campi delle arti dello spettacolo. Trovo che siano una razza talentuosa e incantevole di artisti, che sono spesso molto divertenti. In particolare mi piace guardare le esibizioni dei negri da una certa distanza, perché da vicino spesso hanno un odore sgradevole.
Un'altro tra i racconti che più mi sono piaciuti è Lyndon, storia romanzata della presidenza americana di Lyndon Johnson, raccontata da uno dei suoi assistenti personali:
"Mi chiamo Lyndon Baines Johnson. Quel cazzo di pavimento che hai sotto i piedi è mio, ragazzo."
E l'ultimo racconto del libro, È tutto verde, sono semplicemente tre pagine di delicata poesia. Lei, Mayfly, è seduta e guarda verso la finestra, lui, invece, guarda lei:
Da dov'è seduta sta guardando fuori, e io guardo lei, e c'è qualcosa in me che non si riesce a chiudere, nel guardarla. Mayfly ha un corpo. E lei è la mia mattina. Dite il suo nome.





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